domenica 17 aprile 2011

Per la Thyssen conto da nove milioni Inchiesta bis su dirigenti e consulenti

 

 

Nel nuovo procedimento accuse
di falsa testimonianza e omicidio
colposo per il rogo: 15 gli indagati

TORINO
«È stato doloroso». All’indomani di una sentenza di portata storica, capace di ridisegnare l’intera giurisprudenza sugli incidenti sul lavoro, il giudice Paola Dezani, si lascia sfuggire poche parole e ammette che il processo Thyssenkrupp è stato segnato da una profonda tensione emotiva. Dezani ha fatto parte - come giudice a latere - della Corte d’Assise presieduta dalla collega Maria Iannibelli. Del collegio facevano parte anche sei giudici popolari (due dei quali sono stati sostituiti nel corso del dibattimento) e più di una volta si è notato che almeno un paio di loro, durante le udienze, si sono commossi.
La storica sentenza di Torino equipara per la prima volta la morte sul lavoro di sette operai (uccisi dal rogo del 6 dicembre 2007) a un omicidio volontario: l’ad della Thyssenkrupp, Herald Espenhahn, è stato condannato a 16 anni e mezzo, come un vero e proprio omicida. Il timore che la Corte sia stata condizionata dalla pressione mediatica, dalla rabbia delle famiglie delle vittime e dal «clima ostile verso gli imputati» viene respinto, ma con poca convinzione, dall’avvocato difensore Ezio Audisio. «Sono giudici esperti e ben preparati. Certo che nessuna delle nostre argomentazioni è stata presa in esame. È come se non avessimo preso parte al processo». In molti, negli ambienti giudiziari torinesi, sono convinti che i giudici popolari abbiano messo in minoranza uno dei giudici togati.
Raffaele Guariniello, il capofila dei pm, si limita a dire di essersi ricreduto sull’efficacia di una giuria popolare. «Studiare le norme e valutare le prove è difficile, ma un giurato può portare del buonsenso. Linfa vitale, a volte, per la nostra magistratura». Per Audisio, invece, il dispositivo dimostra che «c’è stata assoluta coesione nel collegio». La sentenza, per Guariniello, lancia un monito ai cda delle grandi aziende. E anche Sacconi (che con Guariniello si tiene regolarmente in contatto) sottolinea che «la tragedia impone soprattutto una più diffusa prevenzione». E non è ancora finita: la Procura sta affilando le armi per la Thyssen-bis. I pm hanno chiesto e ottenuto dai giudici la trasmissione degli atti perché vogliono procedere contro l’ingegner Berardino Queto, collaboratore storico della Thyssenkrupp. Reati ipotizzati: omicidio colposo e rimozione volontaria di cautele. Al processo, è intervenuto come consulente della difesa. Ma i magistrati gli chiederanno conto del documento valutazione del rischio antincendio, che lui stesso, qualche anno fa, aveva messo a punto per l’azienda.
Altri filoni di indagine riguardano le false testimonianze (per tre persone la Corte ha consegnato le carte alla Procura), gli scarsi controlli dell’Asl, le responsabilità per il caso dei lavoratori colpiti da gravissimo stress emotivo dopo la tragedia. Per la Thyssenkrupp, in caso di condanne, potrebbero esserci altre somme da pagare. Il dispositivo ordina alla multinazionale di versare un totale di nove milioni e mezzo di euro fra indennizzi alle parti civili, pagamento delle spese processuali, sanzioni pecuniarie. Denaro che si aggiunge ai 12 milioni e 970 mila euro consegnati ai familiari delle vittime dopo il disastro. Il totale, finora, supera i 21 milioni. Ma in molti, come dice la sentenza di ieri, possono ancora fare causa civile: è il caso, per esempio, del Comune di Torino e di Antonio Boccuzzi, l’unico sopravvissuto al rogo. Per Guariniello la sentenza Thyssenkrupp «lancia un messaggio» ai consigli di amministrazione e a tutti i luoghi «dove le aziende prendono le grandi decisioni e decidono le politiche sulla sicurezza». Il pm Guariniello si aggancia all’orientamento della Cassazione secondo cui, nelle società per azioni, tutti i membri di un cda sono considerati datori di lavoro. «Da oggi - spiega - è possibile che la sentenza si riverberi sui ragionamenti che si fanno nei consigli di amministrazione. Le pene che si possono applicare (Espenhahn è stato condannato a sedici anni e mezzo di carcere, ndr) non sono teoriche. E allora qualcuno potrebbe chiedersi: "Se facciamo o non facciamo questo, se prendiamo o non prendiamo quel provvedimento, c’è il rischio che spuntino elementi di dolo tali da portarci in galera?"».
Il magistrato sottolinea che «il dolo non è applicabile meccanicamente a tutti i casi di infortunio sul lavoro. Noi - spiega - non lo abbiamo cercato. La nostra indagine era cominciata, come di consueto, per un omicidio colposo. Poi abbiamo trovato gli elementi che ci hanno portato a contestare il dolo. Ma abbiamo dovuto applicare metodologie di indagine nuove per gli incidenti sul lavoro, metodologie più tipiche da reati di criminalità organizzata: non abbiamo fatto un normale sopralluogo, abbiamo fatto delle perquisizioni, in cui determinante è stato il ruolo della Guardia di finanza, esaminando anche gli scambi di e.mail aziendali. Non ci siamo, insomma, fermati alle anomalie dello stabilimento: abbiamo cercato di capire perchè si erano create quelle anomalie». Di tenore opposto il commento della difesa che parla di «sentenza con aspetti esageratamente punitivi». Ezio Audisio, uno degli avvocati della Thyssenkrupp, il giorno dopo la pronuncia della Corte d’Assise di Torino spiega la posizione dei condannati: «È stata sposata - dice - la linea dei pubblici ministeri, che noi continuiamo a ritenere infondata. Sembra che nessuno dei nostri argomenti e delle nostre argomentazioni sia stata presa in esame. Come se noi non fossimo stati presenti al processo». Secondo Audisio non è probabile che la Corte sia stata condizionata «dal clima ostile alle difese e agli imputati» e dalla pressione dei media .«Ammetto - afferma - che sulle prime avevo avuto questa sensazione. Ma una Corte deve sapere fronteggiare tutto, e i giudici che hanno celebrato il nostro processo sono esperti, competenti e preparati».

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